Ieri, ultimi minuti di un corso sulla comunicazione nonviolenta in Mia-Platform.
Chiedo feedback al gruppo.
Una ragazza, di solito silenziosa, prende timidamente la parola.
Racconta di aver applicato solo il secondo e il terzo passo del metodo: aveva riconosciuto le proprie emozioni e identificato il bisogno sottostante.
“Non ho fatto il quarto passo, quello della richiesta perchรจ ancora non l’avevamo studiato”, dice quasi scusandosi.
“Quindi non ho completato il ciclo.”
Invece aveva fatto qualcosa di molto piรน potente.
๐๐ฎ๐๐ฅ๐ฅ๐ ๐๐จ๐ง๐๐ข๐ฏ๐ข๐ฌ๐ข๐จ๐ง๐ “๐ข๐ง๐๐จ๐ฆ๐ฉ๐ฅ๐๐ญ๐” – ๐ฌ๐จ๐ฅ๐จ ๐๐ฆ๐จ๐ณ๐ข๐จ๐ง๐ ๐ ๐๐ข๐ฌ๐จ๐ ๐ง๐จ, ๐ฌ๐๐ง๐ณ๐ ๐ซ๐ข๐๐ก๐ข๐๐ฌ๐ญ๐ – ๐๐ฏ๐๐ฏ๐ ๐ฌ๐๐ข๐จ๐ฅ๐ญ๐จ ๐ฎ๐ง๐ ๐ญ๐๐ง๐ฌ๐ข๐จ๐ง๐ ๐๐ก๐ ๐๐ฎ๐ซ๐๐ฏ๐ ๐๐ ๐ญ๐๐ฆ๐ฉ๐จ.
Non aveva negoziato, non aveva chiesto nulla.
Aveva semplicemente mostrato la sua umanitร .
Ed รจ bastato.
A volte fermarsi al “sono arrabbiato perchรฉ ho bisogno di essere ascoltato” funziona meglio che aggiungere “quindi potresti smetterla di guardare il telefono?”.
La prima versione crea connessione. La seconda rischia di creare resistenza.
La comunicazione nonviolenta non รจ una check-list da completare. ร un invito alla vulnerabilitร autentica.
Quella ragazza timida me l’ha ricordato meglio di qualsiasi manuale.
Grazie per avermi insegnato che a volte il coraggio di mostrarsi รจ piรน trasformativo di qualsiasi richiesta perfettamente formulata.