È una domanda che ho posto all’inizio di una formazione sulla comunicazione. Non per provocare, ma per aprire uno spazio di osservazione diverso.
La risposta, in sintesi, è: sì. I gesti non sono semplici accompagnamenti delle parole. Sono strumenti cognitivi. Lo mostrano con chiarezza le ricerche di Susan Goldin-Meadow, professoressa di psicologia all’Università di Chicago.
In particolare, alcuni studi su bambini alle prese con problemi matematici hanno rivelato che — anche quando le loro parole erano scorrette — i loro gesti raccontavano la soluzione corretta. È come se le mani avessero capito prima del linguaggio verbale.
Questa intuizione si collega a un filone teorico più ampio: l’embodied cognition, secondo cui pensare significa anche muoversi. Gesticolare, ad esempio, può:
- facilitare la memoria (creando quello che si chiama un engramma motorio),
- sostenere il ragionamento (soprattutto su concetti astratti o spaziali),
- migliorare la chiarezza di ciò che comunichiamo (anche in ambienti digitali),
- e rivelare pensieri che ancora non abbiamo formulato a parole.
Durante il workshop, abbiamo osservato il valore dei gesti anche nelle presentazioni professionali. Nel business speaking, ad esempio, le mani aiutano a dare struttura, ritmo e enfasi al messaggio.
E se guardiamo un TED Talk ben riuscito, non è raro notare che i momenti più incisivi sono accompagnati da gesti coerenti e significativi. Non teatrali, ma autentici. Quasi inevitabili.
Abbiamo chiuso la sessione con un gesto condiviso: una mano che disegna un cerchio nell’aria, come a far girare le idee. Un piccolo rito per fissare qualcosa che le parole da sole non bastano a dire.
Forse vale la pena, ogni tanto, di ascoltare le mani.