Oggi, in una mezza giornata di training su Zoom, ho portato un famoso esperimento condotto da Kahneman e Tversky. Scenario attuale, oltretutto, perché è quello di un’epidemia che colpisce 600 persone.
La prima scelta che bisogna fare è tra un intervento che salverà certamente 200 vite umane (A), e un secondo intervento che darà una probabilità su tre di salvarne 600 e due su tre di non salvarne alcuna (B).
Nella seconda versione la scelta è tra un intervento che determinerà certamente la perdita di 400 persone (A’); ovvero un secondo corso di azioni, che offre due probabilità su tre che muoiano 600 persone e una probabilità su tre che non muoia nessuno (B’).
Ma l’esito finale di tutte e quattro le opzioni è esattamente lo stesso, come racconta Matteo Motterlini nel suo “Trappole mentali“: “Per chi ne dubitasse: scegliendo A, nel primo scenario si avrà la sicurezza di salvare 200 vite, e nel secondo scenario la certezza di perdere 400 vite, il che, su un totale di 600 persone, è equivalente.
Se invece si adotta il programma B o il programma B’, il «valore atteso» – vale a dire il risultato moltiplicato per le probabilità di ottenerlo – è pari a 200 vite salvate in entrambe le versioni: infatti nel primo scenario, 1/3 di vite salvate su 600 è uguale a 200, e nel secondo scenario 2/3 di morti su 600 è uguale a 400 morti e quindi a 200 vivi. “
Kahneman e Tversky avevano riscontrato che di fronte alla prima alternativa i più preferiscono salvare con certezza 200 persone. E così è successo oggi (12-2). “La certezza di salvare vite umane è attraente in misura spropositata rispetto all’incertezza che alcune vite vadano salvate e altre perdute. Siamo tendenzialmente avversi al rischio quando traffichiamo con le vincite.“
Nel secondo inquadramento del problema, i più preferiscono giocarsi le probabilità offerte dalla seconda opzione: “la certezza delle morti è aborrita in misura altrettanto sproporzionata perché siamo propensi al rischio quando ci dobbiamo invece confrontare con delle perdite.” Confermata anche questa tendenza (9-6).
Motterlini conclude che “per evitare di compiere scelte e azioni differenti sulla base degli stessi dati, potrebbe aiutarci riformulare la questione che siamo chiamati a valutare incorniciandola in maniera diversa. Ma quasi nessuno lo fa e la trappola ha così facilmente il via libera.”
Ma aggiunge che un rimedio anti-incorniciamento esiste e consiste nell’identificazione dei punti di vista differenti con cui è descritto il problema decisionale. Possiamo chiamarla strategia del doppio incorniciamento: “una sorta di vaccino per cui si cura la malattia con una dose dello stesso virus che la provoca.”
Più attuale di così!