Abbiamo conosciuto Marshall Rosenberg come l’uomo della Comunicazione Nonviolenta. Ma chi ha davvero ascoltato le sue parole sa che non voleva solo aiutarci a litigare meglio.

Parlava di una cosa molto più ampia: una vita che arricchisce la vita.

Non solo la nostra. Non solo quella dei nostri figli, dei nostri colleghi o dei nostri clienti. Parlava della vita nel senso più radicale: quella degli alberi, dei laghi, degli animali. E sì, anche la nostra. Ma dentro un sistema vivo, non al centro di tutto.

“Ogni azione dovrebbe nascere da un’immagine chiara di come arricchirà la vita.”

Questa frase ci spiazza. Perché ci mette davanti a una domanda scomoda: quante delle nostre scelte quotidiane sono davvero guidate da questo principio?

Più che comunicare bene, forse dovremmo capire da dove stiamo parlando

Negli ultimi anni, molti di noi hanno iniziato a esplorare la CNV, la mindfulness, l’intelligenza emotiva. Tutto prezioso. Ma c’è un rischio sottile: credere che basti capire i nostri bisogni per essere in contatto con la vita.

Il punto è che la vita non finisce ai bordi della nostra pelle. E forse, senza rendercene conto, stiamo coltivando un benessere privato in un contesto che resta profondamente malato.

Ci stiamo adattando troppo bene?

Torniamo al lavoro dopo una bella sessione di ascolto empatico… e continuiamo a contribuire (magari con il nostro silenzio) a un sistema che consuma risorse, relazioni, senso.

Siamo più gentili, ma a cosa stiamo partecipando?

“Non è una misura di salute essere ben adattati a una società profondamente malata.” —Krishnamurti

Questa frase ci riguarda da vicino. Perché il cambiamento vero non passa solo attraverso relazioni più armoniose, ma anche da un atto di disobbedienza: mettere in discussione le strutture in cui siamo immersi.

Sentire è facile. Pensare è faticoso.

Rosenberg non era solo un uomo che sentiva. Era anche uno che pensava. Profondamente. E ci invitava a fare lo stesso.

Pensare non significa teorizzare. Significa stare in una domanda scomoda. Chiedersi cosa ci stiamo giocando. E che tipo di mondo stiamo sostenendo con le nostre scelte, anche quelle piccole.

“Il pensiero richiede tempo e disciplina. Il sentire, da solo, non basta.”

E quindi?

Quindi forse è il momento di fermarci un attimo. Non per darci colpe, ma per tornare a guardare insieme.

Per chiederci:

  • In che misura le nostre pratiche, anche quelle più evolute, sostengono la vita?
  • Dove stiamo contribuendo a qualcosa che ha senso, e dove stiamo solo affinando il nostro adattamento?
  • Siamo ancora in contatto con ciò che ci circonda, o stiamo diventando sempre più esperti nel regolare il nostro microclima emotivo… mentre tutto intorno si surriscalda?

“Parliamo tanto di equilibrio, di benessere, di consapevolezza. Ma se ci fermiamo un attimo… siamo ancora in contatto con la vita, quella vera? O stiamo solo affinando il nostro modo di adattarci a una realtà che non abbiamo scelto?”