Ci sono domande le cui risposte sono scontate. Qualche esempio?
- Come valuti la tua capacità di ascoltare gli altri?
- Come valuti la tua abilità di guida (auto, moto, ecc.)?
- Come valuti le tue skill di coaching?
La terza domanda ha una storia meno lunga delle prime due, ma si sta incamminando verso gli stessi risultati. Gli Executive, in particolare, pensano che essendo dei bravi manager, l’essere dei bravi coach sia una naturale conseguenza così come l’ombra in una giornata di sole. Magari fosse così.
Magari perché tutte le ricerche dicono che le persone chiedono un approccio di coaching e che tale approccio migliora l’engagement e la produttività. L’abilità di sviluppare i propri collaboratori è sempre più un elemento critico in azienda e nelle organizzazioni. Il periodo che stiamo vivendo sta rinforzando questo indicatore.
Nel modello SCARF elaborato da David Rock, fondatore del NeuroLeadership Institute, due elementi fanno diretto riferimento a possibili “minacce sociali”: autonomia e fairness (giustizia).
Purtroppo, l’approccio del coaching non è naturale per la maggior parte dei manager. E talvolta può essere dannoso, se applicato in modo superficiale. A complicare le cose ci sta che alcune delle competenze che hanno permesso ai manager di fare carriera confliggono con quelle di un bravo Coach. Jack Zenger and Joseph Folkman le hanno analizzate. Vediamole con loro.
Essere direttivi vs essere collaborativi. I bravi manager sono stati promossi (anche) per la loro capacità di esercitare una leadership direttiva. I manager che sono anche bravi Coach, però, sanno quando utilizzare un approccio piuttosto che l’altro. Capiscono quando è il caso di fare un passo indietro e stimolare le risposte delle loro persone.
Dare consigli vs favorire la scoperta. I manager hanno scalato la gerarchia perché si sono dimostrati abili nel problem solving. Nessuna sorpresa, quindi, se sanno cosa fare nella maggior parte delle situazioni. Il manager che è anche un bravo coach capisce quando – non sempre – è il caso di lasciare che i colleghi o i collaboratori trovino la soluzione. Il tempo, in queste decisioni, è la risorsa critica.
Agire come esperto vs come pari. La competenza tecnica è uno degli elementi che aiuta la carriera, soprattutto dove la tecnologia costituisce il core business. Ma giocare il ruolo del guru e fare il Coach sono incompatibili. Trattare gli altri come novellini è percepita come una minaccia sociale e produrrà una “fuga”. Ad ogni modo, il bravo Coach tiene ben presenti i differenti ruoli e responsabilità in ogni colloquio.
Le neuroscienze ci hanno fornito la conferma della nostra capacità di imparare, sempre. Basta volerlo fare, voler fare fatica. Carol Dweck ce l’ha spiegato con quello che ha definito “growth mindset”.
Lasciamo a Zenger e Folkman l’ultima parola: “I leader possono imparare ad essere più collaborativi invece di essere sempre direttivi. Possono imparare l’abilità di aiutare le persone a scoprire piuttosto che offrire sempre consigli. Possono imparare quanto sia soddisfacente trattare gli altri con rispetto e riconoscere che non è insolito avere dei collaboratori che sono più a loro agio con le ultime tecnologie dei loro leader.”