Quando crediamo di descrivere, ma stiamo interpretando.
“È arrogante.” “È passivo-aggressiva.” “È insicuro.” Quante volte ce lo siamo detti?
Sembrano osservazioni oggettive, ma sono etichette: giudizi travestiti da fatti. Non descrivono. Interpretano. E quando le usiamo, spesso chiudiamo il dialogo ancora prima di iniziarlo.
Un esempio semplice
Dire: “Sei aggressivo.” è diverso da: “Durante la riunione hai detto: ‘Questa proposta è ridicola’, alzando la voce.”
Nel primo caso interpretiamo. Nel secondo, descriviamo un comportamento osservabile.
Perché usiamo le etichette?
- Per semplificare.
- Per proteggerci.
- Per sentirci dalla parte della ragione.
È umano. Ma possiamo imparare a riconoscerle e scegliere consapevolmente come usarle.
Tre spunti per allenarci
- Restare nei fatti Chiediamoci: “Cosa ho visto o sentito, senza interpretare?”
- Evitare le diagnosi da bar Parole come “narcisista”, “tossico”, “immaturo” spiegano poco e irrigidiscono molto.
- Riformulare con rispetto “È irresponsabile” può diventare:
Un esercizio per noi
Ripensiamo a una situazione recente in cui abbiamo usato un’etichetta. Proviamo a riscriverla così:
- Etichetta: “È manipolativo.”
- Fatto osservato: “Ha detto: ‘Fai pure come vuoi, ma poi non lamentarti’.”
- Come ci siamo sentiti: “Sotto pressione.”
- Bisogno: “Poter scegliere con serenità.”
Non per essere perfetti. Ma per costruire più comprensione. Anche quando è difficile.