E no, non è quello che pensiamo.

Eleanor Schille-Hudson, ricercatrice post-doc in Antropologia a Stanford, ha fatto una scoperta che ci sta facendo riconsiderare tutto: la preghiera funziona come strategia di risoluzione dei problemi. E la scienza può spiegare perché.

La scoperta che nessuno di noi si aspettava

Analizzando centinaia di sessioni di preghiera, la ricerca ha rivelato che i praticanti seguono inconsciamente il metodo di Pólya – le quattro fasi matematiche per risolvere problemi complessi:

  1. Comprendere il problema (definire chiaramente la situazione)
  2. Fare un piano (elaborare strategie concrete)
  3. Eseguire il piano (agire coerentemente)
  4. Riflettere (valutare risultati e apprendimenti)

Il caso di Paul: Studente di legge, ansia mattutina paralizzante. In preghiera ha definito il problema (ansia), identificato l’obiettivo (serenità), pianificato azioni concrete (“trovare modi per incontrare Dio al mattino”), e poi riflettuto sui risultati.

Pólya applicato inconsciamente. Funziona.

Perché la preghiera batte i nostri brainstorming aziendali

La preghiera come problem solving ha tre vantaggi che raramente troviamo nelle nostre sale riunioni:

1. Ambiente ottimale: Silenzio, concentrazione, zero distrazioni. Quando è stata l’ultima volta che abbiamo avuto 20 minuti ininterrotti per pensare a un problema?

2. Collaborazione percepita: Ci sentiamo supportati nel processo. Non siamo soli con il problema. (Che sia Dio, l’universo o il nostro io superiore, poco importa – il cervello beneficia del senso di supporto)

3. Gestione emotiva: La preghiera riduce l’ansia e aumenta la resilienza. I problemi complessi richiedono stabilità emotiva.

Le implicazioni per tutti noi

Non stiamo suggerendo sessioni di preghiera aziendale. Ma possiamo rubare i meccanismi:

  • Creare spazi sacri per il pensiero: Momenti ininterrotti, ambiente tranquillo, zero multitasking
  • Strutturare la riflessione: Usare consapevolmente le fasi di Pólya nei nostri processi decisionali
  • Coltivare il senso di supporto: Nessuno dovrebbe affrontare problemi complessi in isolamento
  • Distinguere controllo da accettazione: Focalizzarci su quello che possiamo influenzare

Il punto scomodo per tutti noi

La ricerca di Stanford suggerisce che una pratica che consideriamo “non scientifica” applica principi scientifici meglio di molte delle nostre metodologie aziendali.

Forse il problema non è la preghiera. Forse è che abbiamo dimenticato come creare le condizioni per pensare davvero.

La prossima volta che abbiamo un problema complesso, proviamo questo: 20 minuti di silenzio totale, telefono spento, e dialoghiamo con il problema come se stessimo parlando con qualcuno che ci vuole aiutare. Chiamiamolo come vogliamo – coaching interno, thinking out loud, o sì, anche preghiera.

Il nostro cervello potrebbe sorprenderci.


Provocazione per tutti noi: e se alcune delle pratiche che consideriamo “non professionali” fossero in realtà più efficaci dei nostri metodi “scientifici”?