Sto leggendo un bel libro; un libro umile. Il suo titolo è “L’arte di fare domande. Quando ascoltare è meglio che parlare“. L’autore è Edgar Schein, uno dei massimi esperti di psicologia sociale, cattedra alla Sloan School of Management del MIT nel 1956. Al MIT c’è rimasto 48 anni. Io l’ho scoperto grazie a Ed Batista, docente del corso di self-coaching a Stanford.

Schein ha coniato l’espressione “humble inquiry” che è anche il titolo originale del suo libro. Humble inquiry è stato tradotto in “umile ricerca di informazioni“. Di cosa si tratta? Di una morale delle domande? Proprio no.

Il presupposto da cui parte il nostro autore è che la cultura dominante privilegi il “dire vs il domandare“. A raccontarla tutta, la nostra cultura è orientata ai compiti da svolgere; è una cultura del fare e del dire. Privilegiamo il dire rispetto al domandare e diamo la precedenza al fare rispetto al rapportarsi compromettendo così la nostra capacità a costruire relazioni. Ma c’è modo e modo di domandare. Quello che genera fiducia – alla base di ogni relazione positiva – è chiamato “umile ricerca di informazioni”.

“L’umile ricerca di informazioni è l’arte sottile di indurre l’interlocutore ad aprirsi, di fare domande di cui non si conosce la risposta, di costruire una relazione fondata sulla curiosità e l’interesse per l’altra persona”. Sì, perché “non ci rendiamo conto di quanto spesso le nostre domande, in realtà, non siano altro che affermazioni espresse in forma diversa – cioè domande retoriche o poste solo per verificare la correttezza di qualcosa che già riteniamo giusto.”

Schein individua 3 tipi di umiltà:

  1. Umiltà di base: quella dovuta alle classi superiori nelle società tradizionali o quella che sentiamo di dovere agli altri quali essere umani.
  2. Umiltà facoltativa: quella che si prova nei confronti delle persone di successo.
  3. Umiltà qui-e-ora: quella che si prova quando si sente di dipendere da qualcuno (anche solo per un’informazione).

E’ questa ultima quella virtuosa, quella difficile da mettere in pratica. Anche perché spesso si preferisce fallire pur di non riconoscere la propria dipendenza dagli altri.

Il fatto è che siamo inseriti in un mondo sempre più complesso dove siamo tutti interdipendenti. “La relazione è la chiave di una buona comunicazione, la buona comunicazione è la chiave del successo nell’esecuzione di un’attività e l’umile ricerca di informazioni fondata sull’umiltà qui-e-ora è la chiave di una buona relazione.”