Leggo il pezzo di Ed Batista e scopro che ha appena fatto la sua 9.000ª ora di coaching.
Io, a 900, mi sento come uno che ha appena finito il riscaldamento… e ha dimenticato l’acqua.

La reazione iniziale? 😳 “Ok, chiudo tutto e vado a fare il panettiere.”

Poi però ho capito che il suo pezzo non era un trofeo esibito sulla mensola, ma un invito alla lucidità. Alla coerenza. Alla scelta.

Ecco cosa mi ha insegnato — senza nemmeno conoscermi.
𝟏. 𝐋𝐚 𝐜𝐨𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐛𝐚𝐭𝐭𝐞 𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐫𝐬𝐚
Ha scelto il coaching 1:1 perché lì si sentiva al massimo. Non ha rincorso le mode. Ha piantato i piedi, e ha costruito qualcosa che cresce.
📌 𝐼𝑜 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑠𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑖 “𝑓𝑢𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑟𝑒 𝑚𝑒𝑔𝑙𝑖𝑜”? 𝐿𝑜 𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑖𝑓𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑑𝑜 𝑜 𝑑𝑖𝑙𝑢𝑒𝑛𝑑𝑜?

𝟐. 𝐒𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐞̀ 𝐦𝐞𝐭𝐚𝐛𝐨𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐫𝐞
Ed scrive non per farsi notare, ma per capire cosa ha imparato. E questo rende i suoi pensieri solidi. (Spoiler: non lo fa su LinkedIn, ma glielo perdoniamo.)
📌 𝑆𝑡𝑜 𝑠𝑐𝑟𝑖𝑣𝑒𝑛𝑑𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑒, 𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑝𝑒𝑛𝑠𝑎𝑟𝑒 𝑚𝑒𝑔𝑙𝑖𝑜?

𝟑. 𝐈𝐥 𝐠𝐫𝐮𝐩𝐩𝐨 𝐞̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐩𝐚𝐥𝐞𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐜𝐨𝐚𝐜𝐡
Dopo anni di lavoro individuale, è tornato al gruppo. Non per “riempire la pipeline”, ma perché sa che lì si cresce. A volte, anche a muso duro.
📌 𝑄𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑒̀ 𝑙’𝑢𝑙𝑡𝑖𝑚𝑎 𝑣𝑜𝑙𝑡𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐𝑢𝑛𝑜 𝑚𝑖 ℎ𝑎 𝑚𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑖𝑛 𝑐𝑟𝑖𝑠𝑖—𝑖𝑛 𝑠𝑒𝑛𝑠𝑜 𝑏𝑢𝑜𝑛𝑜?

𝟒. 𝐀𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐢 𝐜𝐨𝐚𝐜𝐡 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐫𝐨𝐛𝐨𝐭 (𝐧𝐨𝐧 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚)
Sa dire di no. Protegge il proprio tempo. Lascia spazio vuoto tra una sessione e l’altra. Una cosa che io, a volte, dimentico… salvo poi fissare lo schermo come una pianta grassa.
📌 𝐿𝑎 𝑚𝑖𝑎 𝑎𝑔𝑒𝑛𝑑𝑎 𝑒̀ 𝑢𝑛 𝑐𝑎𝑚𝑝𝑜 𝑐𝑜𝑙𝑡𝑖𝑣𝑎𝑡𝑜… 𝑜 𝑢𝑛𝑎 𝑔𝑖𝑢𝑛𝑔𝑙𝑎?

Non so se arriverò mai a 9.000 sessioni (ho fatto due conti, no, non ci arrivo).
Ma se ci arrivo, voglio farlo con ancora qualche domanda in tasca, un po’ di ironia nello sguardo e magari… una pianta grassa accanto.